13:39 mercoledì, 07 giugno 2023
Diciassette anni dopo Jonathan Bachini è un uomo «moralmente libero». Che si sente come rinato all’improvviso. «Non so descrivere ciò che mi passa dentro: so solo che quando il mio avvocato mi ha chiamato per dirmi che non sono più squalificato sono scoppiato a piangere come un bambino. Io non ci credevo più, dopo mille tentativi di riabilitazione, dopo mille porte chiuse e ricorsi respinti avevo perso ogni speranza».
Quarantotto anni compiuti lunedì, il «Baco» per la giustizia sportiva ha terminato ieri di espiare la sua colpa. Quella di aver tradito se stesso e aver gettato alle ortiche fama e soldi, compromettendo anche i rapporti familiari, la porterà sempre con sé: «E sinceramente a forza di darmi dello stupido tutti i giorni, ho finito anche le parole per insultarmi... Ma a parte questo, che riguarda me, io so di aver patito un’ingiustizia enorme: io ho nuociuto alla mia vita e faccio i conti con questo ogni minuto, ma non ho alterato prestazioni, non ho barato, non ho venduto partite».
Il livornese venne squalificato la prima volta per uso di cocaina, per nove mesi nel 2004 quando giocava nel Brescia che lo licenziò per giusta causa. Poi fu il Siena nel 2005 a dargli una chance: ma ci ricascò e nel gennaio del 2006 fu la fine. Fino a ieri Jonathan Bachini, il cavallo pazzo - ma anima fragile e generosa - della fascia del Brescia più bello di sempre, Ferrari-gilet di pelle a torso nudo e lunghe trecce per festeggiare una leggendaria salvezza (segnò in quel 3-0 al Bologna scolpito nella pietra), è stato l’unico radiato del calcio italiano. «Un mondo - quello del calcio - che mi ha lasciato totalmente solo, dalle istituzioni in giù. Sono stato scordato da chiunque, tranne che da Edoardo Piovani che non mi ha mai fatto mancare la sua vicinanza. Non mi serviva chissà cosa, mi sarebbe bastata qualche telefonata della serie "Ciao Jonathan, come stai?" e io sarei stato la persona più felice del mondo. Come lo sono ora e non smetterò mai di dire grazie alla mia avvocatessa, Annamaria Mattei, che peraltro è bresciana. Posso dire che lei ci ha creduto più di me. È stata fantastica e impareggiabile».
Il calcio ha dato e poi tolto a Bachini: «Mi meritavo una punizione severa, perché ho sbagliato gravemente anche nei confronti delle società e dei tifosi che credevano in me. Ma non meritavo l’ergastolo, o di non avere un’altra occasione come altri che hanno fatto cose molto gravi nei confronti di questo sport e che invece hanno avuto. Sono stato lasciato solo, sì: ma questo mondo comunque è il mio e sento che mi appartiene come io gli appartengo. Qui a Livorno ho allenato - si fa per dire perché lo facevo senza poter calcare il campo - una squadra di Terza categoria con la quale abbiamo vinto il campionato: ho provato emozioni e gioie pure, favolose. Vorrei tornare a provare queste sensazioni. Mi piacerebbe tornare a lavorare nel calcio, non so a fare cosa: forse anche l’osservatore. E confesso il mio sogno più grande: tornare un giorno a lavorare nel Brescia perché con la vostra piazza avverto un legame profondo che ho sempre sentito nonostante tutto».
Oggi: «Sono una persona semplice, vivo del mio lavoro al porto di Livorno e mi piace essere tale. Amo la mia vita normale con la mia famiglia e le mie amicizie che sono le stesse di quando ero ragazzo. Da chi mi conosce, mi sono sempre sentito capito, sono sempre stato sostenuto perché anche quando giravo in Ferrari e avevo i soldi, io sono sempre rimasto lo stesso di sempre. E questo mi ha aiutato. Oggi rinasco moralmente e non lo so davvero spiegare».