16:24 lunedì, 08 gennaio 2024
Oggi Beppe Vigasio ha 84 anni, ma un tempo tutti lo conoscevano come il «piccolo» garzone nel negozio sotto i portici negli anni della rivoluzione della televisione. «Oggi chiedo a mio nipote di spiegarmi come collegare la tv, ma una volta ero io a vendere la scatola che portava le immagini in casa. È stato un grande passaggio, ma c’è voluto tempo: non c’erano code fuori dal negozio». A 14 anni, orfano di padre, lavorò per lo zio che in corso Zanardelli vendeva giocattoli, cucine e soprattutto radio, prima di rientrare nel negozio della madre per diventare fotografo (e campione di rugby).
«Ho visto nascere le prime televisioni - racconta - che avevano costi importanti. Ecco perché il passaggio dalla radio alla tv è stato graduale. Mario Vigasio lo sapeva: così ideò un’iniziativa secondo me scioccante. Chi non poteva acquistare il televisore se lo portava a casa con una gettoniera», per poterlo riscattare... a consumo. A confermarlo è il figlio di Mario, Michele: «Questa formula di vendita fu un mezzo formidabile per farla arrivare anche dove non c’era la possibilità economica. I televisori costavano davvero cari, 120mila lire o più, che io ricordi. Un commesso guadagnava 10mila lire al mese. Fare credito allora era molto semplice: mio padre guardava le mani degli acquirenti e se avevano i calli non chiedeva nemmeno la busta paga.
La gettoniera era invece una sorta di macchinetta che permetteva un "rent to buy" primitivo (una sorta di noleggio a riscatto, ndr). Funzionava a 100 lire per ogni ora di trasmissione. Poi alla fine del mese passava un incaricato della ditta che scaricava il contenuto della gettoniera (circa 4 o 5mila lire)». Un sistema modernissimo e democratico, che permetteva di ripagarsi il televisore in un anno e mezzo, suppergiù.
«A metà di "Lascia o raddoppia" bisognava inserire un’altra moneta. E non nomino ‘Lascia o raddoppia’ a caso: quando la trasmissione andava in onda, la città letteralmente chiudeva e dove c’era un televisore tutti si sentivano autoinvitati», sorride Michele.
Il negozio aveva addirittura un accordo con il cinema Astra: tra il primo e il secondo tempo del film, mentre si cambiava la bobina, Beppe si recava in sala con un trespolo su cui appoggiava la tv. «Altrimenti la gente non andava al cinema, per non perdere la puntata. Oggi ci sono schermi dalle grandezze enormi. Quello era un volgarissimo 24 pollici».
Oltre al costo, anche l’installazione era un freno. «C’era bisogno di un’antenna esterna - ricorda Beppe - e camminare sulle tegole dei tetti di corso Garibaldi attaccando un palo al camino per orientare un’antenna su Monte Penice non era mica semplice». Ma nei decenni successivi, quando le tv entrarono in tutte le case, i Vigasio dovettero inventare uno slogan da applicare sui furgoncini, tante erano le richieste: «Non sparate all’antennista».
Slogan che si aggiunge ai tanti altri pubblicitari per cui il negozio era famoso, come «Pago 18mila lire la vostra radio usata», che venne poi applicato anche al televisore. Ma la pubblicità sul Giornale di Brescia non era l’unica comunicazione dei Vigasio: «Ho una foto con Edy Campagnoli, perché mio padre in negozio ospitava tanti personaggi e vallette», sorride Michele. «Erano veri influencer d’antan».