16:04 martedì, 17 ottobre 2023
L’ultimo dei romantici, il primo dei sognatori. Quadrato e solido nella disciplina e nei valori: un baluardo di credibilità umana ancora prima che calcistica. E per questo in grado di suscitare empatia. Con i piedi ben piantati sulle nuvole: in un mix di realismo e idealismo. Uno che sa bene chi è, nei pregi e nei difetti, nei limiti ancora prima nelle possibilità, eppure capace di volare con il pensiero e attraverso le emozioni al punto da riuscire ad abbattere paletti: sarà per questo che viene così facile al popolo bresciano identificarsi in Dimitri Bisoli. Ma ancor prima che in Bisoli, in Dimitri.
Succede così: che se basta pronunciare il tuo nome di battesimo e tutti, che seguano il calcio o meno, capiscono al volo che si sta parlando di te, allora vuol dire che ce l’hai fatta. Che sei volato fuori dal campo e direttamente nei cuori. Dice di sé il quasi trentenne (andrà in tripla cifra il prossimo 25 marzo): «Sono un ragazzo normalissimo, sono un giocatore normalissimo, ma a Brescia vengo trattato dalla gente come se fossi un campione. Ogni bambino che ama il calcio, desidera arrivare ad alti livelli sognando la Juve, l’Inter, il Milan... Ma io è qui sento di aver realizzato quel sogno: il mio concetto di "alti livelli" è il Brescia e non può esistere niente di meglio. A parole fatico a spiegare. Ho ancora sogni e desideri, ma tutti legati a questa squadra e questa maglia: li tengo per me».
«Veramente a chi di dovere lo dissi lo scorso anno quando già sembravamo spacciati prima della rincorsa finale».
«Sì. Ma a me importa solo di ciò che provo e sento io e di ciò che provano, pensano e sentono le persone a me care. Che infatti mi hanno spalleggiato: penso alla mia compagna Giada e alla mia piccola Vittoria. Questa è la nostra casa e per me venire a Torbole tutti i giorni è felicità. Ripeto: mi sento realizzato».
«C’è stata e non si cancella e infatti, io che ero anche il capitano, la vivo come una macchia che porto ogni volta con me sul campo in cerca di rivalsa».
«È stato molto difficile, non lo nego. Ma allo stesso tempo pur retrocessi nella rimonta finale dello scorso anno si percepiva che avevamo iniziato un nuovo percorso, un nuovo modo di stare insieme. E sono sempre stato certo della riammissione: lo ripetevo sempre ai compagni».
«Se penso a come siamo partiti avrei anche firmato. Siamo imbattuti, abbiamo subito solo due gol. Mi resta però qui la partita con la FeralpiSalò: se avessi segnato sono sicuro che avremmo vinto. A ogni modo dobbiamo continuare e migliorare, sempre attenti alle difficoltà di un campionato che cambia continuamente volto e riferimenti: occorre saperci "stare dentro" mentalmente ed è la lezione più importante imparata dallo scorso anno».
«Verissimo, nemmeno noi avvertivamo le giuste vibrazioni. Ora siamo un gruppo diverso, forgiato dalle difficoltà che sa bene che l’equilibrio è alla base di tutto».
«Io dico che abbiamo le qualità per essere la mina vagante. Potremmo arrivare tra un settimo e un dodicesimo posto... Però adesso possiamo e dobbiamo ancora crescere tanto nelle prestazioni e negli approcci, sia da squadra alle prese con un nuovo modulo, sia come singoli e vale prima di tutto per me che sono ancora al di sotto. E sarà poi importante l’entusiasmo che sapremo creare: abbiamo bisogno di vicinanza e i 12.000 del derby sono stati insieme un sogno e un desiderio che quella cornice possa essere all’ordine del giorno. Sul campo cercheremo di fare in modo che il clima sia sempre migliore e che si possa ricreare quella bella connessione dell’anno della promozione per esempio».
«Una gratificazione immensa, la mia forza».
«No. Se adesso quella fascia è la gioia più grande, che a volte mi fa tirare fuori anche giocate che non ho come ad esempio nel gol col Cosenza, non posso negare che all’inizio fu un grosso peso anche se Ernesto per primo e poi tutti gli altri mi hanno sempre sostenuto. Ma agli inizi ho pensato di non essere all’altezza e ci sono stati momenti difficili. Anche adesso comunque mi metto sempre in discussione. Ripenso ad esempio agli errori che ho commesso l’anno scorso, a cose che non rifarei o gestirei diversamente. Comunque io sono un capitano dialogante e se serve alzo la voce, ma non "attacco ai muri". Inoltre mi ritengo al massimo un soldato che guida altri soldati perché ha un grado in più. Tutto qui».
«Tra me e il Brescia mai. Ma lo scorso anno vissi un momento terribile in occasione della sconfitta in casa con il Como. Tra l’altro non avevo giocato (Clotet lo mise nel mirino, ndr). Sta di fatto che scoppiai a piangere, piansi anche a casa. Stavo malissimo. Poi la quotidianità, il lavoro, l’inizio di scintilla che ci riaccese Possanzini mi aiutarono a scollinare».
«Gastaldello fu molto bravo a porsi, con grande umiltà pur pretendendo regole e disciplina. Ci disse "io cercherò di aiutare voi, voi aiutate me"».
«Come è innegabile, sa essere estremo. A volte lo è anche con i giocatori ai quali però non fa mai mancare nulla e se sa che qualcuno ha una difficoltà si adopera. Io posso solo e sempre ringraziarlo per la grande fiducia che mi ha sempre dato, anche col rinnovo».
«Quando so che qualcuno pensa male del Brescia la vivo malissimo e non mi capacito. Non ci manca niente per star bene e basta vedere il centro sportivo che tutti ci invidiano. Sarà che ormai il calcio in quanto tale è quasi ormai passato in secondo piano e i giocatori pensano prima ad altri aspetti... È sempre più tutto spesso ridotto a una questione di soldi senza tenere conto appunto de calcio, o delle emozioni. Io divento pazzo se penso che ci sono giocatori con ingaggi multimilionari già a 20 anni, o quando vedo che per soldi tutti vogliono andare in Arabia mentre il calcio italiano non è più considerato un punto di arrivo... Gasperini dice che le giovani generazioni si emozionano poco? Purtroppo devo dire che è vero...».
«Non mi sento di dire nulla, sarei affrettato e superficiale visto che ancora non si conoscono bene i contorni di tutta a vicenda».
«Vero. Anche Giada mi dice a volte di non essere così rigido, ma io non ce la faccio. Però è giusto sappiate che Mangraviti è peggio di me e che anche Van de Looi non è da meno».
«Che domanda: solo Brescia».